ADEGUATO ASSETTO ORGANIZZATIVO E L’ARTICOLO 2086 DEL CODICE CIVILE, CIOÈ?

Le novità introdotte nell’ultima manovra introducono strumenti per la rilevazione e il superamento della crisi al fine di recuperare la continuità aziendale.

“… è dovere dell’imprenditore istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni d’impresa…”.

Al di là della correttezza o meno del legiferare su questa cosa, nei prossimi mesi assisteremo alla solita parata di esperti che ci diranno cosa fare.

  • I commercialisti con le dovute considerazioni sugli indici di crisi e l’importanza del controllo di gestione.
  • Gli avvocati con le dovute riflessioni sulle responsabilità, le deleghe e l’importanza dell’avere i modelli ex 231/01.
  • I consulenti della qualità che diranno quanto finalmente, abbastanza giustamente peraltro, anche in ambiti più “seri” si inizia a capire l’importanza dei sistemi di gestione basati sulla ISO 9001.
  • E infine i software “magici” che ci dicono cosa fare, belli pronti all’uso.

Il bello è che hanno ragione tutti, o quasi, ma si preannuncia comunque un discreto scenario di confusione e a rimetterci saranno le imprese, in particolare le piccole e medie, che dovranno peraltro adottare anche degli adempimenti ulteriori su questi temi.

Calza a pennello la frase: “l’intervento è riuscito, ma il paziente è morto”.

Quanto, nel modo più pratico possibile, tenterò di scrivere in realtà riguarda in generale il tema dell’organizzazione a prescindere dalle novità introdotte dal codice civile.

L’obiettivo? Cercare di mettere a disposizione l’esperienza da “muratore dell’organizzazione” che, grazie agli imprenditori, mi ha mostrato quanto alle volte umiltà, buon senso e logica siano utili per fare le cose.

Tra il dire ed il fare, c’è di mezzo sempre il fare!

Soprattutto nelle piccole imprese serve avere esperienza e capacità di sintesi, ma è anche fondamentale saper usare il linguaggio giusto. Una delle domande peggiori che può fare un imprenditore ad un consulente dopo una spiegazione è: “cioè?”.

Assetto organizzativo

L’assetto di un’organizzazione consiste nell’insieme delle responsabilità, delle regole e dei criteri di controllo che servono per “governare” l’azienda.

Governare l’azienda significa fare in modo che vada nella direzione giusta, nel rispetto degli obiettivi definiti ottimizzando il più possibile le risorse impegnate.

Obiettivi

Gli obiettivi dipendono dalle strategie e dalle risorse disponibili.

Da qui potremmo definire come “assetto organizzativo adeguato”:

“l’insieme delle regole, responsabilità e controlli finalizzati al raggiungimento degli obiettivi”.

L’adeguatezza, come conseguenza logica sarà soddisfatta se l’assetto organizzativo è bilanciato con gli obiettivi e questi sono perseguibili.

La parte amministrativa apre un bel tema, non basta avere regole anche su quel fronte, sarà necessario avere dati e indicatori che permettono di pianificare e verificare nel tempo la sostenibilità della gestione.

È d’obbligo ora un bel “cioè”, o addirittura un “e quindi”?

Partiamo dal fondo, la legge prevede che siano definiti degli “indici di crisi” e dovrà essere anche nominata una apposita figura che dovrà vigilare sull’andamento di questi indici per segnalare andamenti negativi e fare in modo che siano prese decisioni correttive per prevenire le crisi.

Aspettiamo gli indici?

Per quanto io non creda nella imposizione per legge di comportamenti organizzativi, ne è una dimostrazione abbastanza lampante la qualità in alcuni settori, credo che la “filosofia” di fondo di questa norma ci possa stare.

Quante aziende abbiamo visto che, malgrado gli aiuti ricevuti (peraltro soldi nostri), dall’oggi al domani portano i libri in tribunale e lasciano a casa i lavoratori che andranno a prendere la cassa integrazione (altri soldi nostri)?

La logica per la quale nel gestire come ti pare la tua impresa, devi dimostrare che gli impegni presi sarai in grado di assolverli, per me non è tanto difficile da sottoscrivere.

Il tema degli indici è importante, certo, ma appunto è il fondo della questione.

Il Consiglio dell’Ordine dei Commercialisti emetterà linee guida e definirà sicuramente a breve il set degli indici da usare.

In ogni caso, per poter verificare se un andamento è buono, rispettoso di un traguardo o comunque positivo, è necessario avere 3 cose:

  • Un traguardo
  • Una previsione
  • Un controllo periodico.

Il budget e il piano di cassa

Quindi, seppure in forma rudimentale, sarà necessario che il tema del budget e del reporting diventino delle prassi anche per le piccole imprese.

Apriti cielo, che significa? … forma gentile del “cioè”!

Budget significa che almeno si definiscano, rispetto all’anno precedente, degli obiettivi di ricavi e di costi che permettono di stabilire come entrano ed escono i soldi.

Considerando che i dati del fatturato e dei costi per mese ci sono, quasi sempre:

  • Il primo passo è categorizzare qualche macro famiglia di ricavi (di solito già lo si fa) e di costi.
  • Il secondo passo è costringersi a riflettere se l’anno che verrà sarà uguale o diverso dal precedente, questo esercizio permetterà di correggere i conti in funzione delle previsioni che possiamo ipotizzare.
  • Il terzo passo, in funzione dei tempi medi di pagamenti e riscossioni, delle varie poste (da bilancio) di cassa mutui ecc., ci permette di avere un “piano di cassa”. In sostanza come entrano ed escono i soldi in azienda.

Come va?

A questo punto, con poco, ogni mese si può verificare rispetto alla previsione come sta andando. È qui che entra in gioco un fatto più culturale che altro, la verifica degli scostamenti, la comprensione delle cause e le decisioni di correzione fondamentali per correggere il nostro piano.

Gli indici, se oltre ai bilanci abbiamo questi dati, sono facili da calcolare.

Sto semplificando?

Certamente, ma se pensiamo di fare un impianto di Controllo di Gestione dove non c’è nulla, sarebbe come pensare di ottenere qualche cosa da mia figlia dicendole “lo fai perché lo dico io”.

Gli scostamenti sono come il lotto, aspettiamo l’estrazione?

In effetti, se vogliamo evitare l’effetto “lotto” è il caso di porsi una domanda:

Come facciamo a fare in modo che l’azienda si muova nella giusta direzione?

  • Intanto cercando di stabilire qual è la giusta direzione;
  • Poi dovremo definire “chi fa cosa”;
  • Alla fine “con quali mezzi”, che ci riporta agli investimenti e quindi ai costi ed alle previsioni.

Stabilire la giusta direzione, quindi, le “strategie”:

Chi siamo, cosa vendiamo, a chi, e perché dovrebbero acquistare da noi?

Scaricare a terra il pensiero imprenditoriale, far capire i fattori critici di successo che ci caratterizzano permette di comprendere i processi sui quali concentrarsi di più. L’identificazione delle strategie dovrebbe prevedere, sulla base dei propri fattori critici e della propria visione, un’analisi del contesto esterno e di quello interno.

Analizzare il contesto esterno significa individuare le opportunità e le minacce che non dipendono da noi, quindi riguardano i nostri clienti, i competitor, i fornitori ed in generale l’ambiente che ci circonda ed influenza o può influenzare le nostre strategie.

Analizzare il contesto interno significa evidenziare le nostre forze e debolezze, capire come queste possono influenzare in negativo e positivo gli obiettivi da raggiungere e fornirci spunti per definire i piani di intervento sull’organizzazione.

Rispetto ai metodi e strumenti disponibili per effettuare delle diagnosi organizzative si rimanda a:

  • testindustria4-0.com/ oppure www.umiq.it come primo approccio per una valutazione del livello di maturità digitale e organizzativo delle aziende più strutturate;
  • Allo “Starter Check” che aiuta le PMI a farsi un quadro iniziale dello stato di adeguatezza del proprio assetto organizzativo

Definire “chi fa cosa”: Responsabilità, compiti ed obiettivi, 3 parole che spesso tolgono il sonno agli imprenditori.

La complessità organizzativa, la velocità e le poche risorse disponibili spingono anche le piccole imprese a dotarsi di assetti organizzativi più adeguati.

Le strutture organizzative, i vincoli contrattuali per le tematiche del lavoro e la cultura sono rimasti quelli che potevamo permetterci quando i margini ed i tempi per fare le cose erano sicuramente maggiori.

Definire un adeguato assetto organizzativo.

Significa realizzare la “macchina” più adatta al viaggio che dobbiamo fare.

Il primo passo consiste nel definire il “viaggio”, ovvero il perché vogliamo fare quelle cose e perché dobbiamo farle in un certo modo.

Una volta chiariti gli obiettivi (chi siamo, cosa vendiamo, perché acquistare da noi), è necessario stabilire come facciamo a farlo, la struttura organizzativa, la “macchina”.

Il terzo passo è il controllo, il “cruscotto” necessario per vedere se la direzione che stiamo seguendo è giusta.

La struttura organizzativa.

Definire la struttura organizzativa significa:

  • Comprendere le attività a svolgere, necessarie per realizzare i prodotti/servizi con i requisiti stabiliti e nel rispetto degli obiettivi aziendali;
  • Definire le responsabilità per eseguire queste attività.

Detta come sopra sembra ovvio e facile da farsi, nella realtà le cose spesso si complicano. Perché?

I passi che normalmente si effettuano sono i seguenti:

  • Definizione degli organigrammi;
  • Descrizione delle funzioni con i ruoli (i mansionari)
  • Realizzazioni di manuali, procedure e istruzioni per regolamentare le modalità di comunicazione, esecuzione e controllo.

E può funzionare, ma solo se:

  • Tutto quanto sopra è ben formalizzato e conosciuto;
  • C’è un sistema di controllo organizzativo (audit) o una persona dedicata alla gestione del “sistema”;
  • Si hanno le risorse per gestire “per compiti” l’azienda.

I limiti della gestione per compiti, organigrammi e funzioni.

Il difetto, se così possiamo definirlo, è legato all’abitudine a ragionare per funzioni mentre l’azienda lavora per processi.

Uno degli esempi più ricorrenti nelle aziende è quello del processo di approvvigionamenti: arrivano pere a posto delle mele in azienda, il magazziniere dirà che il d.d.t. era per delle pere e i prodotti arrivati sono effettivamente delle pere per cui non ha colpe; il responsabile acquisti dirà che ha fatto l’ordine per le mele quindi non è nemmeno sua la colpa.

Quindi? Tutti hanno fatto i compiti previsti ma i risultati non sono raggiunti.

Il tema è che nessuno cerca le colpe ma è necessario essere responsabili degli obiettivi da raggiungere.

La gestione per processi.

Uno degli approcci più diffusi al modo è la gestione per processi. La norma  ISO 9001 ad esempio, in particolare con l’ultimo aggiornamento del 2015, ne prevede un uso strutturato nelle aziende che vogliono ottenere le certificazioni.

Partiamo da una definizione: “L’azienda è l’insieme delle attività che vengono svolte, dalle persone per realizzare i prodotti/servizi”.

Quindi nessuno si inventa nulla di diverso da quello che le aziende devono fare, il punto è capirci sul modo di rappresentare il modello organizzativo più adeguato per facilitarne la gestione.

La differenza fra l’approccio per funzioni e quello per processi è che i processi introducono la cultura della “sequenza logica delle attività in base all’obiettivo che hanno”.

La differenza è sostanziale perché introduce una chiara identificazione di obiettivi da raggiungere e non solo di compiti da svolgere.

Cosa sono e come si costruiscono i processi?

I processi sono delle scatole organizzative nelle quali confiniamo le attività di più funzioni relative ad un determinato obiettivo.

La Direzione definisce quante scatole servono in azienda stabilendo per ciascuna:

  • Gli obiettivi e gli indicatori;
  • I confini, quando inizia e finisce;
  • Le responsabilità, l’owner di un processo è colui che indipendentemente dalle gerarchie “tira le fila” rispetto all’obiettivo.

Gli owners definiti dovranno:

  • Elencare le attività svolte nel loro processo;
  • Definire le regole per il controllo delle attività;
  • Contrattare gli indicatori, i target e le risorse necessarie per raggiungerli;
  • Rendicontare (si innesca la cultura del reporting organizzativo)!.

Le attività

Il driver fondamentale, il cuore di tutto se vi ricordate la definizione di azienda, è l’attività, che è il mattone di base per costruire la propria organizzazione. I processi sono le stanze che abbiamo deciso di realizzare nella nostra casa.

L’obiettivo a cui tendere è quello di avere un elenco delle attività svolte che sia univoco per:

  • Definire le mansioni delle persone (le job description);
  • Definire il dettaglio delle fasi dei processi;
  • Attribuire dei costi alle attività svolte in base al tempo e alle persone che le svolgono.

I metodi per individuare le attività sono molteplici, è importante chiarire che l’obiettivo, ai fini organizzativi è quello di sapere “chi fa cosa”.

Non è un lavoro analitico ma qualitativo.

Il più completo:

  • Rilievo libero, qualche giorno, del personale d’ufficio delle attività svolte;
  • Categorizzazione di quanto riscontrato per creare un catalogo univoco;
  • Rilievo categorizzato per almeno un mese rappresentativo (con integrazione delle categorie eventualmente non emerse).

Il più semplice:

  • Incontri con i responsabili per definire direttamente il catalogo delle attività.

È evidente che nel primo caso avremo la possibilità di avere, oltre all’elenco, anche l’impegno in tempi e costi che ci permette di fare diverse considerazioni:

  • Carichi di lavoro;
  • costi per attività;
  • sovrapposizioni;
  • frammentazione ecc.

In ogni caso anche nel modo più semplice otteniamo il nostro elenco delle attività.

Ma alla fine, quanti sono i processi e le attività?

Il problema è che non ci sono software o libri che ci dicono quali sono e quanti sono i processi e le attività della nostra azienda.

In base agli studi effettuati e soprattutto all’esperienza nelle aziende, possiamo esemplificare quanto segue:

  • L’attività è l’insieme delle operazioni che si svolgono per ottenere un risultato. Es. “caricamento ordini clienti”, non serve dire che per farlo bisogna: accendere il pc, aprire il programma x, usare la funzione z, ecc. Queste sono le operazioni necessarie per fare quell’attività, è il mestiere delle istruzioni operative (eventuale documentazione a supporto del processo, definita dall’owner se reputa che serve, per assicurarne il controllo).
  • Il numero delle attività, con un range di attività da 100 a 200 possiamo dire di rappresentare il 90% delle aziende. Il numero varia in base a dimensione, complessità organizzativa ma soprattutto se l’azienda ha o meno un prodotto proprio che innesca processi quali la ricerca e sviluppo, il marketing, la progettazione, l’assistenza ecc..
  • Il numero dei processi, un processo mediamente ha una decina di attività. Sempre nella nostra esperienza con 10 – 20 processi possiamo coprire il 90% delle aziende.

Definire le azioni da perseguire.

Abbiamo tradotto in parole chiare le opportunità e le minacce che il contesto esterno ci costringe ad affrontare e abbiamo l’elenco dei nostri punti forti e deboli.

Ora serve che la Direzione, con la visione, i fattori critici e gli obiettivi strategici in testa, utilizzi queste informazioni per spiegarci cosa dovremo fare:

  • per cogliere le opportunità o affrontare le minacce;
  • utilizzando le nostre forze e/o riducendo le debolezze.

In sostanza la strategia è la modalità con la quale comunichiamo e definiamo il nostro assetto organizzativo, per ottenere gli obiettivi che si siamo prefissati, tenendo conto delle nostre specificità e dei nostri fattori critici di successo.

Come controllare le proprie strategie? Il cruscotto Direzionale.

Il tema dei dati e degli indicatori è sempre più importante, soprattutto oggi che abbiamo a disposizione software capaci di fornirci una infinità di dati.

Il problema però è che le persone nelle aziende, spesso, generano dati su tutto ed il contrario di tutto e si spende molto tempo a ragionare sui significati degli andamenti.

Nel fare mia una metafora dell’ing. Pier Alberto Guidotti:

“quando un pilota passa davanti ai box, nella frazione di tempo a disposizione ha bisogno del tempo sul giro e di poche altre informazioni, non della telemetria”.

I dati sono fondamentali per analizzare le cause, ma l’indicatore deve essere una sintesi e va definito in modo semplice e legato al rispetto di un obiettivo.

La sfida, anche qui, è delle Direzioni aziendali che dovranno sforzarsi di chiarire gli obiettivi strategici e i propri processi, pretendendo pochi indicatori chiave su ogni processo.

Gli indicatori chiave devono essere:

  • pochi, di solito su qualità tempi e costi;
  • chiari, la miglior identificazione di un indicatore è la risposta a “cosa può andar male?” rispetto all’obiettivo di un processo;
  • univoci, è importante che su un indicatore agisca ed abbia le leve un responsabile chiaramente identificato;

I cruscotti Direzionali:

a differenza degli strumenti di Business Intelligence per l’analisi dei dati

  • devono essere intuitivi;
  • devono “pretendere” la definizione dei target (quando va bene o male un dato rilevato);
  • devono prendersi da soli i dati;
  • devono “inseguire” i responsabili (reminder, scadenziari, mail con grafici e report automatici ecc.)
  • devono “costringere” i responsabili a commentare dati negativi o andamenti in peggioramento (innescano la cultura del reporting, le analisi delle cause e le proposte di soluzioni).

Conclusioni

Sono partito dal fondo ma se ci pensiamo un sistema di controllo organizzativo nel suo complesso dovrebbe tararsi in base a questi criteri.

Immaginate che bello sarebbe avere in azienda pochi indicatori chiari, che puntano a responsabilità univoche, legati a degli obiettivi, con dei traguardi ed un sistema periodico di confronto su come stiamo andando.

Se c’è un “sistema” organizzativo ben costruito, semplice ma logico, con pochi processi chiari, avremmo un approccio causa effetto che permetterebbe di disperdere molte meno energie di quanto non si faccia oggi nella maggior parte delle aziende.

Fare le cose semplici è difficile, è un impegno importante per gli imprenditori, per le persone impiegate nelle aziende e tutti gli addetti ai lavori.

Io penso che la cultura organizzativa, il buon senso e la logica siano gli ingredienti fondamentali per evitare le crisi, questi sono i migliori indici che dovremmo coltivare per primi.

 

Alberto Mari – Creatore e proprietario del brand e del corso Executive Auditor® riconosciuto AICQ SICEV, Consulente di Direzione sui sistemi gestionali